Il commento del professore sui social scatena la bufera “sessista”

Abbigliamento non appropriato a scuola. Ma lo scandalo “sessista” esplode per un commento sui social. 

Di primo acchito non può non tornare in mente la canzone “Zoccole” del film “Gli Scugnizzi” di Nanni Loy. Mentre tutti i giornali urlano allo scandalo, riecheggia il ritornello del capolavoro che ha segnato lo spirito anni ’80, al suon di “Zoccole zucculone e zucculelle, so’ belle, so’ tante e so’ affamate“.

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Adolescenti a scuola

Il caso di cronaca verificatosi a Roma al liceo classico Pilo Albertelli, segue a distanza di pochi mesi un altro fatto analogo che portò in primo piano l’abbigliamento dei giovani per recarsi a scuola. Ragazzine adolescenti succinte, con minigonne, pantacollant ultra aderenti per mostrare il lato B, top corti per ostentare ventre piatto e ombelico, il tutto condito da scarpe da ginnastica uscite dalla galassia futurista e anti femminile, della “guerra dei marchi”. Dall’altro lato, l’esasperazione degli insegnanti che si lasciano andare a battute un po’ forti per richiamare alla decenza gli alunni.

Casi di cronaca alimentati dai media pronti a sollevare il polverone sotto al vessillo del termine “sessismo”, impartendo lezioni di “alta” morale con parole anglofone quali “dress code”, tanto per non far capire il senso di quello che sta accadendo.

Il caso

Per prima cosa, sarebbe più adeguato tornare ad utilizzare parole italiane e al posto di termini quali “dress code” vantato dai giornalisti, il concetto più giusto sarebbe “vestito congruo” alle situazione.

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Studentesse in pantaloncini a scuola

Tutto è iniziato, al liceo romano quando un professore si è lamentato del modo di vestire di una sua alunna. Quest’ultima sostenuta dai compagni ha controbattuto, in maniera arrogante, invitando il professore a risolvere il caso dal preside. “E chi lo dice? Come si permette? Vogliamo andare a continuare dal preside?”. Tutto è finito con un nulla di fatto.

Ma il caso ha poi ripreso alito sui social dove un docente ha riportato la storia e a far clamore non è stato il post quanto uno dei tanti commenti lasciati dagli utenti.

“Una docente, non io, fa notare a un’alunna che non ha un abbigliamento adeguato, anche in base al regolamento. L’alunna, come se rispondesse a una bambina, risponde: “E chi lo dice? Come si permette? Vogliamo andare a continuare dal preside?” La docente va in vicepresidenza, dove l’alunna era già andata a denunciare l’ardire dell’insegnante insieme a mezza classe accorsa per sostenere la compagna. Poi, alla fine, tutto si conclude con un nulla di fatto.”

Tra le risposte, quella che ha sollevato lo scandalo, è stato il commento di un professore di Genova.

“Sta ‘zoccoletta’ (cit. “Un sacco bello” di Verdone) avrà quel che si merita non appena troverà un superiore nella sua vita lavorativa”.

La denuncia “sessista”

Un’osservazione che ha colpito le alunne che, sentendosi offese e lese, sono andate di corsa a denunciare il tutto nuovamente alla preside d’istituto romano Pino Albertelli.

“È assurdo che una frase simile parta da un professore”. Ha dichiarato la rappresentante degli studenti, Valeria Cigliana.

“I docenti dovrebbero essere i nostri formatori, non esprimersi con parole e offese. Se un ragazzo va a scuola in pantaloncini corti gli viene chiesto se stia andando al mare. Se una ragazza indossa una canottiera non sta andando in spiaggia, ma è “una zoccoletta”: un ragionamento maschilista e retrogrado. In questi giorni a Roma ha fatto molto caldo e noi siamo in aule senza condizionamento. Il regolamento sull’abbigliamento andrebbe rivisto, ma intanto definire una zoccoletta una studentessa per essersi vestita in modo non conforme alla normativa non è normale”. Conclude la studentessa.

Ancora una volta l’episodio ha riportato in primo piano il tema del sessismo. Fatti portati all’estremo, con tanto di insegnanti e presidi pronti ad entrare nel gioco emotivo adolescenziale.

In realtà, appare un paradosso. Sono i giovani a chiedere figure di “educatori” e quando questo accade, “urlano” alla discriminazione sessista. Sicuramente, urge maggiore dialogo e comunicazione. Anziché portare nei banchi di scuola la cultura “transgender” con tanto di educazione alla sessualità e all’identità sessuale, sarebbe il caso di riportare i giovani nei ranghi istituzionali. Osservando questi fenomeni sociologici si palesa la necessità di dare il giusto peso alle chiacchiere, tanto più se fomentate da un’orda di adolescenti in piena crescita ormonale. L’etichetta “sessista” è fuorviante, laddove dovrebbe emergere il concetto di rispetto. Sia da una parte che dall’altra.

A scandalizzare non dovrebbe essere la “zoccoletta” ma i dati che indicano come il 75% dei giovani hanno fatto ricorso a trattamenti estetici. Oppure, che oltre la metà dei quindicenni hanno difficoltà a comprendere un testo. “In Italia, la dispersione scolastica implicita, cioè il mancato raggiungimento del livello minimo di competenze a 15 anni, riguarda quasi la metà degli studenti (45% in italiano, 51% in matematica)”. Ha recentemente dichiarato il presidente di Save the Children Italia, Claudio Tesauro.

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